Ci sono api e ci sono API. In gergo computeristico API significa “Application Programming Interfaces“, parti del codice di un programma che espongono funzioni e chiamate verso altri programmi, in modo che essi possano interoperare. Per esempio, una piattaforma (ad esempio Gnome o Windows) può esporre una funzione per richiamare un dialogo di stampa, in modo che un’applicazione che funzioni su di essa debba solo invocarla con il metodo pubblicato affinche un’interazione occorra e l’applicazione possa stampare. Le parti interne di un’API possono essere riscritte anche molte volte senza che la parte verso l’esterno cambi, in modo che le applicazioni scritte per esse rimangano funzionanti. Anzi questa è di fatto la regola.

Un Giudice Federale (Mr. Aslup) del Distretto della California del Nord ha deciso che il codice sorgente che dichiara il metodo per invocare la stessa funzione contenuta nell’API (che quindi ne rappresenta la parte esterna) non è soggetta a copyright. Ciò segue una quasi identica  Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso SAS [Caso C‑406/10 SAS Institute v. World Programming Language].

Applaudo alla decisione come a una chiave di volta nel diritto d’autore applicato al software

Troppi “massimalisti del copyright” vorrebbero che il diritto d’autore in un programma software fosse uguale a quello in un’opera letteraria, così che ogni e qualsiasi volta che qualcuno copi le stesse espressioni, il copyright del primo titolare venga violato (se non nelle rare eccezioni in cui l’utilizzo è libero). Altre volte vorrebbero che, così come non è possibile riprodurre la struttura di un libro utilizzando gli stessi nomi per farne un sunto, un adattamento eccetera, lo stesso divieto debba applicarsi anche al software (questo è in sostanza quanto veniva sostenuto dagli attori in SAS). Il copyright del software è diverso dal copyright concesso alle opere letterarie. Il software è protetto come se fosse un’opera letteraria, ma per interpretarne e applicarne le regole del copyright, non può essere ignorata la natura utilitaristica del software, inclusa la necessità di interoperare, in modo che ‒ per usare le felici parole dell’Avvocato Generale Bot in SAS ‒ le idee sottostanti al software non vengano monopolizzate.

Le due materie usano gli stessi concetti, le stesse parole, a volte le stesse regole, ma la differente natura rende impossibile limitarsi ad applicare le regole traslandole acriticamente senza fare le necessarie traduzioni. Fortunatamente, due giudici sulle due sponde dell’Atlantico hanno compreso ciò e preso sagge decisioni. La sentenza del Giudice Aslup negli Stati Uniti deve essere commendata ancora di più in quanto, a differenza dei propri colleghi europei, egli non aveva la guida della  Direttiva Software (Direttiva 91/250/EEC del Consiglio del 14 Maggio 1991 sulla protezione legale dei programmi per elaboratore)

Come sempre, ottimo ed esteso resoconto di questo complicatissimo caso può essere rinvenuto in Groklaw, così come sono ivi reperibili tutti i documenti prodotti.

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