Cosa devo fare per far valere in giudizio il mio diritto, se l’unica prova che ho è un’email? Spesso ci si trova in giudizio a discutere della validità di una comunicazione elettronica semplice. Ma se siamo in giudizio, è troppo tardi per pensarci, e la validità in questione dipende spesso dalle circostanze e dalle prove a corredo. Meglio pensarci prima, possibilmente, ma questo non avverrà mai.

Il caso

Il Tribunale di Milano (sez. V Civile, sentenza n. 11402 del 16 – 18 ottobre 2016, Giudice: dott. Consolandi) ritiene che per quanto riguarda un’email

si tratta di posta elettronica spedita dall’indirizzo della società attrice e quindi poiché in forza dell’articolo 46 del regolamento europeo EIDAS (n.910 del 2014) “a un documento elettronico non sono negati gli effetti giuridici e la ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica” l’argomento della carenza di sottoscrizione, connaturato ai documenti informatici, non può essere considerato. […] La spedizione da un indirizzo riferibile ad una certa società d’azienda deve essere ritenuto firma elettronica ai sensi delle definizioni contenute nell’articolo 3 del regolamento EIDAS […] Vero è quanto eccepisce la parte attrice opponente che si tratta di caratteri facilmente modificabili, ad opera di chiunque avesse accesso alla casella di posta o anche successivamente, ma la parte attrice non ipotizza concretamente che questa modifica possa essere intervenuta e soprattutto nell’ambito complessivo delle risultanze processuali quella lettera appare pienamente confermata dalle testimonianze.

Cos’è un documento scritto

Nel regime delle prove per il diritto italiano, il documento scritto è la fonte considerata più efficace. Sul documento scritto vi è lunga esperienza, frutto di secoli di casi e stratificazioni giurisprudenziali. L’attribuzione del documento al suo autore può essere effettuata tramite una firma, un sigillo, una registrazione (ad esempio nella contabilità aziendale) o altri elementi che nella comune esperienza sono sufficienti per attribuirne la paternità

A seconda del tipo di documento che si può presentare in giudizio, l’onere probatorio può dirsi assolto e incontestabile a diverso grado. Grosso modo abbiamo questi casi:

  • Scrittura privata autenticata o atto pubblico: un notaio certifica con fede pubblica che Tizio ha scritto quel documento, e dunque può essere impugnato solo con querela di falso.
  • Scrittura privata: Tizio ha sottoscritto con la sua firma da qualche parte un documento (anche con uno pseudonimo); vi è un onere di disconoscimento del documento, ovvero la parte contro la quale il documento è prodotto deve dire “non è mio” sin dalla prima difesa;
    • Se la parte non disconosce la firma, questa è riconosciuta contro di essa, la quale a quel punto non può che utilizzare la querela di falso per rimuovere tale certezza giuridica;
    • Se la scrittura viene disconosciuta, la parte che intende valersi della scrittura richiede una verificazione, che è un processo simile alla querela di falso, solo a parti invertite;
  • Copia di una scrittura privata: in questo caso non si produce l’originale, ma una copia. Essa si presume conforme all’originale salvo che la conformità non venga disconosciuta. Non vi è un procedimento formale nel processo, il giudice può valutare ogni elemento di prova;
  • Altra prova scritta: le scritture private non sono sono le uniche forme di documento scritto che conosciamo. Le fatture ad esempio possono essere considerate tali. Nel decreto ingiuntivo, anche quelle emesse dal creditore, purché debitamente registrate, sono prova scritta (nella fase monitoria; nella fase di pieno merito l’onere di provare rivive).
  • Nessuna prova scritta: occorre sperare che la controparte ammetta, oppure fidarsi di testimoni e della loro credibilità (e pure di un sistema rigido e formalistico di ammissione e assunzione della prova), ovvero di presunzioni e inferenze logiche.

Questo nel mondo fisico. E nel mondo digitale? La cosa è molto complicata.

Come munirsi di un documento scritto nel mondo digitale

Un documento elettronico può avere la stessa efficacia di un documento scritto “analogico” se rispetta alcune regole di base. Anche qui la prova viene associata a un certo tipo di firma, ma a differenza della firma di pugno, la firma elettronica si basa su elementi digitali, quali la crittografia a chiave asimmetrica e altri elementi che legano indissolubilmente un dato documento a un dato autore (possesso fisico di un oggetto, conoscenza di una componente segreta, dato biometrico, eccetera).

Ora in Europa, dopo una fase in cui era una Direttiva a dettare legge e gli stati andavano un po’ per conto loro, esiste un Regolamento (EIDAS) che consente la libera circolazione dei documenti elettronici nell’Unione Europea, con obbligo di reciproco riconoscimento.

In Italia la norma è stata consolidata nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) che è stato di nuovo modificato nel 2016, rimuovendo le parti in contrasto con EIDAS (o semplicemente sovrapponibili).

In EIDAS abbiamo tre tipi di firma:

  • Firma elettronica basata su un certificato qualificato (emesso da un certificatore accreditato dall’autorità competente, in Italia AgID);
  • Firma elettronica avanzata, basata su un’altra forma (libera) di firma,  idonea a conferire sufficiente fiducia nel fatto che essa sia attribuibile al supposto firmatario, in maniera univoca, e che non sia stata modificata successivamente;
  • Firma elettronica (semplice), basata su un qualsiasi elemento idoneo a far attribuire, anche in connessione con altri dati elettronici, la paternità a un soggetto identificato.

Solo le prime due sono considerate forma scritta, con diversi gradi di certezza. La terza invece può avere efficacia, EIDAS semplicemente prevede che ad essa non possono essere negati effetti giuridici solo perché è elettronica, ma spetta al singolo ordinamento determinare a quali condizioni essa è efficace.

Nel caso del Tribunale di Milano è stata considerata firma elettronica semplice il fatto che il documento proveniva da un’email usata dal debitore.

Purtroppo (ma neppure tanto “purtroppo”) tale decisione dipende da una serie di elementi estrinseci, di per sé non appare sufficiente a consolidare una giurisprudenza che faccia equiparare ogni email a un atto scritto,  ma soltanto alcune e alla luce di una certa condotta processuale delle parti coinvolte.

La conservazione per provare le email

Un documento digitale si “corrompe” molto prima di uno fisico. La firma elettronica qualificata si basa come detto su un certificato. Questo certificato scade . Quando il certificato scade, la prova viene meno, è come se il documento fosse “perduto” o divenuto illeggibile. A meno che non si siano seguite le norme sulla conservazione digitale.

La firma elettronica avanzata, invece, non scade. La sua efficacia però nel tempo diventa sempre più debole, perché si basa sul presupposto che lo strumento di firma utilizzato è molto difficile da ricostruire: occorrerebbero troppo tempo e troppe risorse per falsificare la firma o il documento. Però con il trascorrere del tempo questa difficoltà si riduce, sia perché diventano disponibili strumenti più potenti e a minor costo, sia perché appunto ci potrebbe essere stato il tempo per falsificare a parità di strumenti utilizzati.

La firma elettronica semplice, invece, è intrinsecamente debole. Se però il documento in questione viene portato in un sistema di conservazione che lo cristallizzi, esso può assumere un’efficacia “nuova”. La conservazione, in pratica, rende inoppugnabile che un determinato documento fosse stato confezionato in una determinata forma in un determinato momento. Se questo momento è precedente al contenzioso, diventa in certi casi difficile ipotizzare che un soggetto abbia confezionato un documento in un tempo non “sospetto”, aumentando così le prove di genuinità.

La conservazione dell’intero archivio email che si estenda anche al tempo della “fisiologia” del rapporto e dia conto di tutti gli scambi intervenuti, rende difficile supporre che l’email prodotta in giudizio e che inchioda l’emittente sia stata creata ad arte in previsione di una possibile situazione patologica del rapporto, soprattutto se tale email è inclusa in uno scambio articolato.

Alternativamente, si può scegliere di includere stabilmente tra i destinatari una o più terze parti, parti che non abbiano quindi un interesse proprio e che possano essere chiamate a testimoniare sullo scambio. Anche i dipendenti dell’azienda possono essere utilizzati a questo scopo, ma è ovviamente più credibile se a questo scambio partecipi anche un terzo indipendente e che possa affermare che il contenuto della corrispondenza coincide con quello ricavato dal proprio archivio, distinto da quello della parte che agisce in giudizio.

Dalla parte riportata della sentenza si evince anche che, pur non ricorrendo nel caso in esame nessuno di questi casi, il giudice ha rinvenuto elementi di prova sufficienti nella mancata o imprecisa contestazione di elementi del documento e della realtà fattuale e giuridica dallo stesso rappresentata. Vale pertanto la pena, per gli avvocati che si occupano di casi in cui le prove sono email, di avere ben presente le possibilità probatorie offerte dal quadro normativo sopra evidenziato, sia per sfruttare eventuali ammissioni implicite avversarie, sia per evitare di farne non contestando o contestando male ciò su cui i documenti si basano.

Potrebbe infine essere interessante indagare un tema affine un post di Simone Aliprandi sul valore probatorio della pagina web: http://www.mysolutionpost.it/blogs/it-law/piana/valore-probatorio-pagina-web.aspx